Irene Testa, promotrice della
campagna NOAutodichia, commenta così le dichiarazioni rese stamattina in
Assemblea dalla senatrice Denis Lo Moro:
«Non è assolutamente
vero che i dipendenti "sono entrati
in servizio al Senato della Repubblica con un regolare concorso sapendo che le
regole sono diverse, anche dal punto di vista della giustizia, da quelle
ordinarie". Sorprende che un magistrato in aspettativa parlamentare -
tanto autorevole da essere stato designato dal governo Renzi al Consiglio di
Stato - cada in questo luogo comune tanto falso quando capzioso.
Al momento della
lettura del bando di concorso nessuno, dal più giovane dei commessi al
Segretario generale, ha mai sottoscritto la clausola di rinuncia al diritto ad
un "giudice vero", cui rivolgersi per la tutela dei diritti di
qualsiasi lavoratore italiano. Nessuno ha mai siglato con Mefistofele un patto
demoniaco; come dimostra il contenzioso giunto dinanzi alle più alte Corti, il
dipendente non ha rinunciato per soldi alla dignità personale e professionale.
Dire il contrario
significa voler coprire gli abusi di una gestione amministrativa opaca, al di
fuori dello Stato di diritto: significa annegare le responsabilità individuali
- di una dirigenza amministrativa che vive al margini della legalità
sostanziale dei rapporti di lavoro ed appaltistici - in un consenso sociale che
non c'è e che non deve esserci. Nessun dipendente è pagato per tacere o per non
parlare, come dimostra la petizione dei radicali per l'estensione anche agli
organi costituzionali dell'istituto del whistleblowing.
Il Parlamento non è un
Paese dei balocchi ed i dipendenti non hanno seguito alcun Lucignolo: sono
stati assunti per concorso, per ruoli delicati e professionalmente impegnativi.
Descriverli come dei Pinocchi ingenui è ingeneroso, fuorviante e profondamente
ingiusto.
Non vorremmo che, dopo
la lettura della sentenza della Corte costituzionale sul ricorso Lorenzoni, a
svegliarsi con le orecchie d'asino sia qualcun altro."
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