mercoledì 5 novembre 2014

RELAZIONE SCRITTA AL CONGRESSO RADICALE SULLA LOTTA ALL'AUTODICHIA


di Irene Testa

Sono oramai due anni che è in corso l'iniziativa radicale, per affermare la legalità nelle amministrazioni degli organi costituzionali: è tempo di tirare un primo bilancio, per chiedere al Congresso un giudizio ed un incoraggiamento a proseguire.

Anzitutto i fatti positivi, che sono ancor più notevoli perché avvenuti nel pressoché totale silenzio degli organi di informazione:

1. Il disegno di legge dei parlamentari radicali a prima firma Rita Bernardini, per abolire l'autodichia di Camera e Senato, è stato depositato in Cassazione dal ricorrente di una controversia di lavoro contro il Senato: esso è tra gli atti parlamentari che hanno provocato il dubbio di costituzionalità, avanzato dalla Cassazione con ordinanza n. 10400/2013;

2. La sentenza n. 120/2014 di Giuliano Amato ributta la palla in Cassazione, ma la "Suprema Cupola" non ha più il coraggio di rivendicare l'esistenza di uno Stato nello Stato, sottratto alla legge "esterna", nel cuore degli organi costituzionali italiani. Anzi, la sentenza costituzionale riconosce l'unicità dell'autodichia italiana in tutto il mondo, valendosi di uno studio di diritto comparato effettuato dal servizio studi della Corte: proprio quello che Alessandro Gerardi ed io sostenemmo nel libro "Parlamento, zona franca". Questo libro, non a caso, è citato dal professor Passaglia, responsabile del servizio studi della Corte, nel suo più recente scritto, come sintomo della "diffusa avversione verso i «privilegi» della classe politica" che "avrebbe potuto tradursi (...) nella strumentalizzazione di una eventuale decisione favorevole al mantenimento di prerogative tradizionali non imprescindibili";

3. Il Fatto quotidiano nel novembre 2013 ha dedicato alla nostra battaglia una pagina, ripresa da numerose condivisioni facebook e twitter , mentre Corsera (a firme Marro e Rizzo) e l'Economist hanno ripreso soltanto la questione autodichia in rapporto al tetto stipendiale, ma hanno taciuto le nostre iniziative;

4. Il 18 novembre c'è udienza in Cassazione sul caso del dipendente che ha aperto il varco, citando il ddl Radicale; il demansionamento da lui subìto non ha raccolto nessuna class action, ma sulla scorta del suo precedente si affacciano alla Cassazione i portaborse, i dipendenti dei gruppi parlamentari e varie altre categorie di discriminati. Tra di esse potrebbero esservi molti imprenditori esclusi dalle discutibili gare d'appalto e dalle trattative private che, come nel caso degli affitti d'oro, hanno arricchito i soliti noti del generone immobiliare romano.

 Ora le note dolenti:

1. Nessuna delle nostre richieste Renzi, Grasso o Boldrini è stata accolta: tutti e tre si sono costituiti in giudizio a difesa dell'autodichia davanti alla Corte costituzionale;

2. Quando il dipendente demansionato ha depositato in Cassazione il nostro disegno di legge, i suoi avvocati hanno rimesso il mandato; il Procuratore generale della Cassazione pare abbia mutato il suo parere (in udienza favorevole a pronunciarsi) ed il nostro amico era senza nessuno che potesse controdedurre, opponendosi al ritardo di un anno che ha subìto, a sue spese;

3. Il problema di legalità, cui alcuni movimenti paiono sensibili, nel caso in questione non s'è tradotto in nessuna iniziativa concreta a sostegno della battaglia: poche isolate abbaiate sul web, per poi mantenere un atteggiamento passivo nei voti degli organi collegiale delle Camere che avallano ogni giorno l'autodichia. In bilancio interno ed in revisione costituzionale, alla Camera Schullian ed al Senato Buemi sono gli unici da cui sono venute iniziative concrete per denunciare la gravità della situazione.

Infine, riassumo i punti di forza della nostra denuncia.

Dall'esistenza dei giudici domestici, in Camera e Senato, si fa discendere una conseguenza letteralmente assurda, eppure nei Palazzi vissuta come un'ovvietà: se c'è un giudice diverso da quello degli altri cittadini, è perché la legge (che è chiamato ad applicare) è diversa da quella degli altri cittadini.

In altri termini, la legge che governa il rapporto di lavoro dei dipendenti di camera e senato, la legge che regola i portaborse, la legge che disciplina gli appalti con le amministrazioni costituzionali è quella che quegli stessi organi "scelgono" di fare entrare. Non è un caso, forse, che il nostro amico è stato demansionato dopo aver svolto la funzione di Rappresentante per la sicurezza sul lavoro, e dopo aver chiesto invano l'accesso ai Palazzi dell'Ispettorato del lavoro e dei Vigili del fuoco per riscontrare la violazione dei minimi requisiti di sicurezza.

In ogni caso, capite bene che chi "gestisce la sbarra del passaggio a livello" è la politica. Sono i membri dell'Ufficio di Presidenza della Camera e del Senato che scelgono, volta a volta:

Quale legge fare entrare a Palazzo e quale no.

Quale legge non applicare più e quale applicare in parte.

Quale legge invocare per alcuni e non per altri.

 Un ceto mandarinale ha trovato convenienza a dosare questo strumento, offrendo alla politica la sua penna e traendo, dalla contiguità con i giudici domestici, motivi di maggiore convenienza che nel rivolgersi a giudici veri.

Anche nei suoi "nemici" c'è chi furbescamente dice che l'autodichia oggi giova, perchè tiene alta la tensione di una diffusa polemica antiparlamentare: "sotto dettatura" della piazza si potrebbe imporre - a quella che viene percepita come una categoria di privilegiati - una normativa, una volta tanto, deteriore su stipendi, pensioni, eccetera.

Il contrario del principio di legalità per il quale i Padri dell'Illuminismo hanno scritto ed i Padri del Risorgimento hanno lottato.

Su tutto questo, come sulle grandi e piccole scelte della Comunità nazionale, occorre che si pronunci non una delibera di un Ufficio di Presidenza, ma la Legge. Per converso, occorre che ad applicarla sia chiamato lo stesso TAR, lo stesso Giudice del lavoro, la stessa Commissione tributaria che è competente per qualunque altro cittadino.

Ecco perché vi chiedo di continuare la lotta con il massimo del sostegno, fino a Strasburgo, se necessario. Le ragioni sono tutte nel nostro libro "Parlamento, zona franca"; le opportunità sono tutte nell'interesse mediatico per i Palazzi, sempre crescente; le occasioni sono tutte nell'egemonia che può derivarne, nei confrontidi  formazioni prive di know how ma ad alto seguito.

Se c'è una possibilità di salvare dall'Antipolitica il regime parlamentare, questa è nel riportare a legalità la gestione amministrativa dei Palazzi. Ciò può avvenire soltanto eliminando l'autodichia e trasformando il ceto mandarinale, che la gestisce, in una pubblica amministrazione professionale ed europea.

 

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